Cuore, mente & spirito (parte 1)

La voce di un uomo cala dolce e serena su di me, vengo svegliato da un leggero tocco alla spalla, accompagnato dalla stessa voce che pronuncia cautamente «Giovanotto, giovanotto?» 

Confuso e anche molto snervato, apro gli occhi e mi alzo dalla panca su cui mi ero appisolato. Innanzi mi compare un uomo in una lunga veste simile a un sacco di patate, cinta in vita da un cordone. Le maniche dell'abito sono talmente lunghe e larghe, che s'ingoiano parte delle dita, lasciandone esposte solo le punte. il capo dell'uomo è rasato ma il suo mento è ricoperto di una folte barba bruna, non mi sfuggono poi la forma insolita delle sue orecchie, che appaiono tozze e quasi consumate dal taglio di un arnese.

«Perdonatemi signore, mi sono addormentato, non volevo entrare in casa vostra»

dico alzandomi, ma egli risponde subito dicendo.

«Stai tranquillo, non hai fatto nulla di male. Ti ho scosso la spalla perché inizialmente ti credevo in una lunga e intensa preghiera, ma poi ho sentito il tuo respiro appesantirsi e il tuo corpo stava per cadere dalla panca. Così mi sono avvicinato per svegliarti, scusami se ti ho disturbato dal tuo riposo, dovevi essere molto stanco»

L'uomo si distanzia e si scusa piegando leggermente il capo, le sue maniere gentili mi tramandano la pace e la sicurezza che gli umani là fuori non mi hanno data.

«Vi ringrazio»  eispondo tornandomi a sedere.

«Inoltre»  aggiunge sorridente, mostrandomi la sala di culto con certo orgoglio.  «Questa è la casa del Signore, perciò non temere di riposare un altro po' se ti va, difatti, mi pari molto stanco. Da dove vieni?» 

«In verità mi sono perso, sto cercando una via che mi conduca a casa»

L'uomo cammina lungo la navata e sale verso l'altare posto a seguito di una breve gradinata, il rumore dei suoi sandali insorgono contro le pareti, così fragili che basterebbe un leggero battito di mani per farle cedere.

L'uomo raccoglie la tovaglia bianca che copriva l'altare e la sbatte dalle polveri che vi giacevano, con il naso irritato, prima di compiere uno starnuto, mi volto coprendomi il naso.

«Salute» 

augura lui mentre piega sul braccio il telo, per poi sistemarlo nuovamente dov'era prima. Alzo lo sguardo alle varie statue che costellano le spalle dell'altare, ciascuna di queste rappresentano personaggi scalzi o in semplici sandali e vesti simili alla tunica che indossa l'uomo. Ogni statua ha il proprio saldo baluardo su cui stare, i capi loro sono incoronati di una particolare corona piatta e dorata.

I volti sono assenti e quasi tristi, come se mancassero di qualcosa, sciupati e barbuti, non vi è traccia di sorriso tra le loro guance di marmo.

«Voi per caso sapete come posso tornare a Elvesreldelle?»

domando tenendo d'occhio i monumenti, essi sembrano ricambiare lo sguardo eppure le loro pupille non sono presenti.

«Purtroppo non più, è da molti anni che non ci metto piede» risponde prendendosi cura delle piante presenti nella sala, l'acqua che versa però pare non dissetarle abbastanza, esse sembrano aver perso vigore già da molto tempo fa.

«Conoscete qualcuno che potrebbe aiutarmi?»  domando, e l'uomo si guarda attorno reggendo la brocca d'acqua.

«No, ma posso consigliarti di dare un'occhiata alla biblioteca di Chiavddàh, magari là potrai trovare alcune mappe» risponde scendendo i gradini, mi alzo dalla panca e mi affianco ad egli nel suo cammino.

«E dove si trova?»  chiedo.

«Purtroppo oggi è chiusa, riaprirà domani»  risponde.

Mi accorgo come i suoi occhi non riposan nel girare per la sala, dunque curioso gli domando che cosa stia cercando.

«Posso aiutarvi?»

Si volta a me come se lo avessi appena richiamato da un luogo distante, poi i suoi occhi cadono sui miei abiti e sconvolto esclama.

«Santo cielo, guarda come sei malridotto»

Mi guardo dai miei abiti e mi accorgo di quanto siano ridotti in malo modo, imbarazzato da ciò, provo a coprirmi e giustificarmi.

«Hai un luogo in cui stare?»  chiede posando la brocca a terra.

«No, non ho posto dove stare al momento»  rispondo, guardando il chiarore della luna imbiancare le vetrate.

«Domani la biblioteca sarà aperta, mio nipote vi si reca spesso per leggere, egli potrebbe aiutarti a trovare quello che stai cercando, conosce quel posto come i salmi»

«Vi ringrazio, signore» dico chinando il capo, egli sorride e mi risponde.

«Chiamami pure, Ettore»

«Grazie signor Ettore, io sono Elanor. Vi ringrazio per non avermi cacciato fuori» gli dico.

«Giovanotto, questa è la casa del Signore, chiunque qui è benvenuto» 

dice spiegando le braccia e alzando gli occhi all'affresco sopra i nostri capi, le maniche della sua veste si spiegano e si animano accompagnando le movenze delle sue braccia.

«Ora però provvederò ad aiutare un giovane fratello, ti darò degli abiti nuovi e puliti, non puoi restare così»

«Non preoccupatevi signor Ettore, non c'è bisogno di affannarsi» 

ribatto, ma l'uomo insiste, conduce una mano dietro la mia spalla e con il dito m'indica una via. «Se prendi quelle scale ti troverai in un corridoio, alla destra ci sarà una stanza nella quale teniamo vestiti per coloro che ne hanno bisogno»

Allungo il collo e intravedo i primi gradini da lui citati, ma trattenuto dalla mia sensazione di sconforto e imbarazzo, non mi smuovo, così egli mi spinge leggermente dalla spalla conducendomi a compiere i primi passi in avanti.

Avanzando lo ringrazio con un sorriso e un cenno della testa, e procedendo mi volto per la via puntata.

Varco la porta e salgo le brevi scale in legno che conducono a un piano superiore, non vi è asse che non cigolio sotto i miei stivali, persino il legno su cui poso gli occhi cigola soppresso dal peso del mio sguardo. Che sia un tempio degli umani risalente a molti anni fa? Chissà a quale divinità rivolgono le loro lodi.

Arrivo alla destra della porta indicata da Ettore, anche se la curiosità di visitare il resto delle stanze lungo il corridoio insorge con scalpore dentro di me, eseguo le indicazioni ricevute per evitare di atteggiarmi come se non serbassi in cuore quel che sta facendo per me. Tuttavia, è una fortuna che mi porto dietro quella d'incontrare sempre persone disposte ad aiutarmi.

Spingo lentamente la porta già aperta con il palmo della mano, varcandone la soglia i miei occhi restano fissi alle porte del corridoio, la mia mente si lascia persuadere dalla curiosità di conoscere cosa si celi nelle altre stanze.

Allo scricchiolio della porta rivolgo lo sguardo in avanti, trovandomi con sorpresa di fronte a me, una giovane e bella fanciulla, ma che alla mia entrata, sussulta spaventata e si ritira dal centro della stanza stringendo il lembo della gonna che indossa. Il suo petto è scoperto, ma le lunghe ciocche nere dei capelli coprono perfettamente il suo seno.

Sebbene la stanza sia scarsamente illuminata dalle povere e deboli fiammelle delle candele, il terrore e lo spavento sul volto della fanciulla sono chiari come l'esile braccio di luce bianca che soffia dai fori delle assi che compongono la parete alle sue spalle, gli occhi suoi ballano lucidi come se stesse soggiogando in una morsa un fiume di lacrime, e il suo petto trasale lesto.

Porto la mano al volto per coprirmi gli occhi e torno indietro domandando le mie scuse, la fanciulla però non dice nulla al riguardo ma si affretta a chiudere la porta in faccia mia.

«Chiedo scusa, non volevo coglierti nel tuo momento d'intimità, avrei dovuto bussare prima di entrare» dico desolato e assalito d'imbarazzo.

«Chi sei?»

balbetta avvicinandosi alla porta, mi avvicino anch'io ad essa e le rispondo.

«Tuo zio, Ettore, mi ha mandato a cercare dei nuovi panni puliti da indossare»

Il mio cuore batte contro il petto, riesco a sentire le mie gote accaldarsi e le dita tremare come se affondate in un cumulo di neve.

Odo i passi della giovane seminare la stanza come pioggia sul prato, sposta qualche mobile e mastica parole.

Dopodiché apre la porta ed esce con addosso una grossa coperta pesante da coprirle l'intero corpo tranne che le caviglie. «Entrate, i vestiti sono nel baule»

Ordina indicando l'oggetto, il volto suo è dipinto di rabbia e truccato con delicati cosmetici, i suoi occhi non incrociano i miei neppure per sbaglio, resta fissa con lo sguardo a terra.

Ancor più desolato, chiedo nuovamente perdono, ma lei prosegue e scompare dietro l'angolo del corridoio.

Non era assolutamente mia intenzione metterla in imbarazzo e vederla a petto scoperto, Ettore non mi aveva avvertito della presenza di una donna nella stanza, se me lo avesse detto non mi sarei precipitato in tal maniera senza avvertire.

Entro nella stanza e mi avvicino al baule davanti a me, mi accomodo di fronte ad esso sulle ginocchia e lo apro, trovando una moltitudine di vestiti.

Affondo le braccia dentro il baule e comincio a frugare alla ricerca di qualcosa che si adatti a me, questi abiti che ho ora addosso li getterò più tardi da qualche parte, faranno la fine del manto, dei guanti e della corona.

L'unica cosa che mi terrò addosso saranno gli orecchini e il ciondolo di Lavanda.

Un solo sguardo a questo oggetto al petto, e il mio pensiero corre da Hansel, al mio amato.

Il cuore mio non vede l'ora di tornare a battere con il suo, i miei occhi sono stanchi di osservare paesaggi mediocri, voglio il suo volto davanti al mio, bramo i suoi occhi stanti ai miei.

Per questo devo apprestarmi a fare ritorno, devo sapere che cosa hanno fatto di lui i miei genitori.

Torno di sotto e trovando Ettore ancora preso alla cura delle piante, mi avvicino a lui per mostrarmi nei miei nuovi abiti.

«Grazie mille per gli abiti, signor Ettore»

«Di nulla, mi fa piacere che tu abbia trovato quel che fa per te»

Sono sicuro che la ragazza che ho colto nella stanza sia una sua parente, entrambi condividono vari tratti facciali simili, mi sento in colpa di averla scoperta in un momento così intimo, tenermi dentro quel che è accaduto è come mostrare una sorta di compiacimento. Se non confesso mi sentirò marcio e losco, non ho intenzione di convivere con questa crepa nell'animo, verrei prevalso dal senso di colpa e dalla vergogna.

«Purtroppo però...» gli dico titubante «Entrando nella stanza ho colto vostra figlia nella sua nudità, non l'ho fatto intenzionalmente, la porta era aperta e io non ho bussato. Vi domando perdono, signor Ettore»

Ettore si volta con sguardo confuso, aggrottando la fronte scuote il capo e sorride dicendo.

«Io non ho figlie, né tanto meno figli. Ho solo un nipote e il suo nome è Edoardo, difatti mi stavo proprio chiedendo dove egli fosse. Deve darmi una mano a spolverare questo posto»

Sorpreso da quel che ho udito, il mio animo si placa e il peso in me si alleggerisce. Se quel che ho visto era un ragazzo e non una ragazza, allora non ho commesso nulla di cui incolparmi.

«Sono qui, zio» pronuncia una sottile voce giovanile, il ragazzo giunge dietro di me e avanzando la spalla sua scontra contro la mia.

La sua incuranza mi fa capire che il gesto fosse stato fatto di proposito, l'occhio suo non incrocia il mio e l'aria che lo segue punge di frustrazione.

Che serbi della rabbia per essere stato colto a petto nudo?

«Bene, dai dell'acqua alle piante di fuori» dice Ettore porgendo a suo nipote la brocca d'acqua, il ragazzo annuisce ed esce all'esterno. Lo seguo con lo sguardo ma egli non ne sente il peso.

Se mi lascio preoccupare dal capriccio di un bambino, non arriverò da nessuna parte. Che se lo leghi al dito per l'eternità se desidera, io ho ben altro a cui rivolgere i miei pensieri.

«Oltre alla biblioteca, ci sono altri luoghi dove poter trovare una mappa, o qualcuno che conosca bene la zona?» chiedo una volta che le porte si richiudono.

«Temo che per un elfo come te girare qui non sia molto sicuro, attendi l'apertura della biblioteca» risponde Ettore.

«Ma io devo tornare a casa oggi stesso»  ribatto. «Lascerei che Edoardo ti facesse da guida, ma tra poco farà sera e non voglio che metta piede là fuori una volta buio» dice portando lo sguardo alle finestre, negli occhi suoi abbonda timore, vive il terrore di qualcosa nel suo sguardo.

Non ho idea di che cosa lo turbi, la gente di questo sputo di terra attorno a Europhanelle sono marce come mele, meschine e maleducate. Ma nulla di cui aver timore, non si cibano di carne al sangue e non operano la magia.

Ciononostante, riconosco uno sguardo terrorizzato quando ne vedo uno.

«Capisco, ma potrei farlo anche da solo, ditemi soltanto per dove devo andare» insisto, io non temo quel che lui teme, il mio desiderio di tornare a casa è più grande di qualsiasi cosa si celi dietro la notte.

«Stanno chiudendo tutto a quest'ora, non troverai niente. Perché sei così affrettato di tornare a casa, Elanor? Qualcuno ti sta per caso inseguendo?»

domanda preoccupato, egli non può comprendere.

Oh ahimè, che diranno i miei genitori? E le guardie che avevano il compito di vegliare su di me, come avranno reagito alla mia scomparsa? Inoltre quella lunga lettera di addio, mi domando se l'avranno già letta o no.

«Per niente, voglio solo farci ritorno» rispondo scuotendo il capo e sospirando.

«Purtroppo non abbiamo né puledro d'asina né carro alcuno da prestarti, come vedi viviamo in questa piccola Chiesa dimenticata, tempo fa questo luogo era vivo e affollato, ma con il passare delle stagioni, sia i miei fratelli che le mie sorelle, hanno abbandonato questo luogo santo. Siamo rimasti solo io ed Edoardo, io mi prendo cura di lui e insieme ci prendiamo cura della casa del Signore giorno dopo giorno»

Fratelli e sorelle? Come mai un'intera famiglia dovrebbe vivere in un tempio sacro?

«Mi dispiace sentire questo, non avete una vera casa in cui stare? Non è forse un tempio questo?» domando, anche se vorrei poter porre maggiori domande.

«Abbiamo fatto della casa del Signore la nostra dimora, vi sono delle stanze al piano di sopra ed è lì che ci rechiamo nella notte» 

Esito, mi amareggia sentir tutto questo, buono com'è, non si merita una vita di miseria.

«Se vuoi puoi alloggiare in una delle stanze, non è un problema per noi, domani Edoardo ti porterà alla biblioteca e quando troverai quel che ti serve, vedremo di darti qualcosa per il viaggio»

«Certo, se voi dite che non è un problema. Inoltre avete detto che tutto riaprirà domani, ebbene passerò la notte qui, ma una volta sorto il sole mi metterò in cammino verso la biblioteca con vostro nipote, Edoardo» 

Concluso il parlare, il giovane ragazzo fa puntualmente rientro.

«Fatto?»

domanda Ettore, e il nipote talmente distratto ad adocchiarmi con furia, non ode la domanda posta da suo zio.

«Edoardo le piante»

«Eh?»  risponde spaesato levando i suoi occhi dai miei.

«Che cosa?»

«Le hai innaffiato le piante?»

«Sì zio, l'ho fatto»

Ettore alza gli occhi e ci ride sopra.

Edoardo resta fermo nella vicinanza della porta, il suo sguardo è cadente a terra e le sue mani nascoste dietro la schiena.

«Dimmi giovane elfo, hai fame?»

Io, che non ho ancora digerito il pranzo consumato al palazzo, porto il palmo della mano allo stomaco e scuoto il capo.

«No, sto bene grazie»

«Va bene, allora vediamo di prepararti il letto su cui dormirai»

Poi rivolge lo sguardo a suo nipote, che nuovamente distratto e assente, tarda a rispondere allo zio.

«Edoardo?»

Il ragazzo risponde e si scusa, Ettore sospira ma ci sorride ancora.

«Aiuta il nostro ospite a sistemarsi in una delle stanze di sopra»

«Va bene» risponde, ma nel suo tono posso sentire la rabbia che serba, è ancora fresca e limpida e mi domando cosa costi ad alleviarla.

Edoardo prende passo verso le scale che conducono al piano superiore, lo seguo senza dire nulla di quel che vorrei dire.

«Tuo zio non riposa?»  domando, ma egli con tono freddo e distante, resta di spalle procedendo.

«Riposerà quando lo vorrà» 

Comprendo che abbia ancora l'animo turbato per quel che i miei occhi hanno visto momenti prima, tiene i pugni serrati e il capo pesantemente chinato verso i gradini.

Mi conduce nella porta di fronte a quella in cui ci sta il baule, entrando nella stanza appago finalmente la curiosità che prima mi perseguitava.

«Ecco il vostro letto» dice sistemando per bene il materasso e le coperte, sbatte il cuscino e poi lo posa.

«Non è necessario che tu ti rivolga a me al plurale» gli dico guardandomi attorno, tutto ciò che compone la stanza, è questo piccolo letto e il comodino in legno.

«Come vuoi» risponde lui con poco riguardo, accendendo la candela con un fiammifero preso dalla tasca della veste.

La fiammella della candela danza dando un po' di luce alla stanza, anche se poca, è sufficiente per vedere dove almeno metto i piedi.

«Ascoltami Edoardo, scusami tanto per prima, io non volevo spaventarti, né tanto meno vederti a petto nudo» gli dico avvicinandomi.

Il ragazzo soffia sul fiammifero e si alza in piedi, poi avvicinandosi mi domanda se abbia detto qualcosa al riguardo a suo zio.

«Nulla, mi sono scusato. Che cosa avrei dovuto dirgli?» gli chiedo, ma egli scuote il capo e abbandona la stanza, lasciandomi solo con una candela e un dubbio.

«Buonanotte» dice chiudendo la porta.

Giro per la piccola stanza domandandomi a chi appartenesse, se fosse stata di Edoardo sarebbe stata decorata di oggetti di vario tipo come carte e quadri.

Ricordo che Ettore aveva parlato della presenza di fratelli e sorelle in passato, magari questa stanza apparteneva a una di questi.

Mi chiedo come mai abbiano abbandonato questo tempio lasciando soli Ettore e suo nipote, ragazzo di cui genitori mi preoccupa sapere.

Mi poso sul letto e mi stendo lungo esso.

Sospiro stendendo le gambe, ma il letto è troppo piccolo e i miei piedi escono al lembo del materasso.

Tuttavia è sempre meglio che dormire all'esterno, anche se siamo nella stagione dei fiori e delle piante verdi, la notte una volta sorta fa calare le temperature.

Mi giro con lo sguardo alla parete, tentato dalle piccole schegge che sorgono dalle assi e dalle spirali del legno, porto il dito sulla superficie ruvida e pungente del muro e scorro con il polpastrello dell'indice le lividure.

Rilassante e dolce è la maniera con cui le magre schegge di legno si fanno via dentro la mia pelle incastrandosi, non provo nulla se non piacere e nostalgia della mia terra.

Perciò è questo che Hansel provava...

Era questo che le sue dita sentivano quando si sosteneva al corpo dell'albero, per assorbire in piedi gl'impeti ai fianchi che riceveva da me in quella notte d'estate, sempre sotto lo stesso salice piangente del giardino.

Non scorderò la sua disperazione nell'evocare il mio nome con grinta e piacere, il solo pensiero mi coccola e mi appesantisce le palpebre.

Ricordo le sue ginocchia che tremavano a forza di star saldo e resistere, ricordo il mio fiato, il suo bacino tra i miei palmi e il rischio su cui camminavamo pur di arrivare nel profondo fulcro delle nostre carnalità.

Gli occhi miei si chiudono e le mie narici inalano il profumo della cera che cola, come la stessa che stillava dal calore dei nostri corpi che ardevano come fiori in fornace.

La mia testa giace dolce sul cuscino e si appesantisce come il resto del corpo che si lascia abbracciare dalle coperte, non è come dormire sul mio letto reale tra cuscini e coperte pesanti, ma è comunque comodo.

Purtroppo però, mi rendo conto che, non posso dormire.

Gran parte del sonno l'ho consumato tempo prima, inoltre ho troppi pensieri che mi persuadono la mente, tra cui Hansel.

La mia carne arde e si flette al suo pensiero, malgrado io sia steso e con le palpebre serrate, il sonno non cala su di me.

Apro gli occhi e rivolgo lo sguardo alla danza della fiamma.

La prego di condurmi in un profondo sonno ma questa tace e continua nella sua lenta movenza tribale, non ha orecchi per udirmi né occhi per vedere come le mie palpebre siamo bramose di riposo.

Esausto e leso, scendo dal letto levandomi le coperte di dosso.

Magari camminando un po' per i corridoi di questo tempio mi stancherò e troverò riposo.

Prendo la candela ed esco dalla stanza con la coperta alle spalle, le assi di legno cigolano sotto i miei piedi e poiché buio e silenzioso, chiunque può averli uditi.

Mi fermo alla bocca del corridoio a un passo dal primo gradino della gradinata, mi guardo le spalle sperando che nessuna delle porte si apra.

Dopo aver atteso, scendo per le scale, trovandomi nella grande sala in cui vi stanno i monumenti, l'altare e le panche.

Una di queste è occupata da Ettore, il quale è chinato con il capo e le dita intrecciate sulla testa.

Preoccupato per la sua triste postura, mi avvicino senza esitare e domandando che cosa lo stia rattristando così tanto da farlo piangere.

Lo scuoto per la spalla e chiamo il suo nome, egli si sveglia subito e alza lo sguardo a me.

«Elanor?» dice.

«Va tutto bene Ettore? Ti ho visto rannicchiato e solo» 

«Sto bene, stavo solo comunicando con il Signore»

Alza la schiena e si siede composto sulla panca, mi porto al suo fianco e lo guardo mentre posa i polsi sullo schienale della panca di fronte.

Le sue dita sono intrecciate e in esse pende una collana composta da piccole perline rosse, dalla punta di questa dondola una croce simile a quella che regge l'uomo innalzato dietro l'altare.

«Perché tenete la statua di un uomo morto nel vostro tempio?» domando indicandolo, Ettore ride e mi risponde. «Perché vogliamo ricordare ciò che il nostro Signore Gesù ha fatto per noi»

«Perciò è lui con cui comunicavi, ma è morto, come fai a parlare con un defunto? Può un uomo parlare dopo che non c'è più?»

«È morto per noi, ma è risorto il terzo giorno come predetto dalle scritture»

«Quell'uomo è morto per te e tuo nipote?»

«Non solo per me ed Edoardo, ma per tutti gli uomini e le donne della terra. È morto affinché ci potessimo riunire con il Padre, la sua morte alla croce ha spezzato lo zelo che c'era tra l'uomo e Dio» 

Rivolgo di nuovo lo sguardo a quell'uomo in croce, non ha l'aria di un precedente principe azzurro, se lo fosse stato allora il sangue che scorre da sotto la corona spinata dovrebbe essere turchino e non rosso.

«Era un uomo di sangue fulvo»  aggiungo.

«Gesù è sceso in terra e si è fatto uomo, è venuto in acqua e sangue. Non mi sorprende che tu non sappia chi sia Gesù, il luogo da cui vieni è praticata un'altra forma di dottrina» dice.

«Infatti sono cresciuto sentendo che la Madre Natura è la madre di ogni creatura terrena, celeste e marina. Ma io non ci ho mai creduto»

«Perché?» domanda.

«Come si può aver fede in qualcuno o in qualcosa che non si ha mai visto?»  «È come un cieco a cui gli vien detto che il bianco esiste ma è intoccabile, noi figli di Dio viviamo per fede e non per visione. Ci sono uomini che anche dopo aver ricevuto un avvertimento di pericolo, si avviano a passo lesto verso il luogo pur di essere certi che sia vero.

Io non ho bisogno di vedere con i miei stessi occhi il volto del mio creatore, le opere che lui compie nella vita di tutti noi, sono sufficienti per farmi capire che egli vive ed è costante in ogni tempo»

Ettore porta gli occhi verso il soffitto del tempio e si perdono negli affreschi ormai rovinati.

Quando feci questa domanda a mia madre ella non esitò a percuotermi la guancia con la sua mano, era come se dalla mia bocca fosse uscita una gran bestemmia. Infine non mi rispose neppure in modo chiaro e preciso, mi disse solo che non avrei mai più dovuto dubitare dell'esistenza della Madre Natura.

Ettore invece, anche se non molto differente da mia madre, ha saputo darmi una risposta veritiera e semplice.

«C'è stato un periodo in cui ho veramente creduto nella Madre Natura» confesso guardandolo.

«E che cosa ti ha allontanato da lei?»

«La Madre Natura o ti ama o ti odia, a prescindere da chi sei e cosa fai»

«Il nostro Dio non pratica il favoritismo, ama tutti nel medesimo modo a prescindere da chi sei»

«Anche i ladri?»

«Dio ama tutti i figli suoi, ma detesta il peccato» 

«E che fine fanno coloro che

peccano?»

«Vengono perdonati e giustificati se si redimono. Tuttavia, siamo tutti peccatori, Elanor, ma per mezzo del sangue di Gesù siamo stati salvati, i nostri peccati sono stati lavati via e gettati nelle profondità dell'oceano. Una volta confessato un peccato, il sangue di Cristo lo ricopre e il Signore Dio non lo considera più, come se non esistesse»

Le mie orecchie si meravigliano di quel che sentono, la mia mente comincia a viaggiare e a immaginare il volto di questo Gesù e di questo Dio di cui sta parlando, e il modo in cui ne parla, è il tono di un uomo persuaso e innamorato.

Malgrado io abbia così tante domande da fare, mi sento già pieno del poco che ho udito.

«Elanor, capisco che tu sia confuso, ma mi farebbe piacere se tu conoscessi di più il nostro Signore» 

«Come? Io non so pregare, né evocare entità divine. Mia madre e mio padre hanno provato a insegnarmi le parole da pronunciare e le posture d'assumere, ma non ci sono mai riuscito»  rispondo.

Ettore ride scuotendo il capo e dandomi leggere pacche sulla spalla.

«Non hai bisogno di sapere parole esagerate per stupire il Signore, né perlopiù recitare una formula poetica e arcana. Egli vede il tuo cuore e sa quello che vuoi ancor prima che tu gliela chieda»

«Come? Sono confuso, io non gli ho mai parlato, come fa a sapere i desideri del mio cuore? E che cosa ci guadagna nell'esaudirli? Non sono mai stato un suo seguace, non ho mai avuto riguardo per lui»

«Non ti preoccupare Elanor, abbiamo tutta la notte per parlarne»

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