ep.3

Il mattino a Phitsanulok arrivò con il rumore di un mercato che si svegliava lentamente: il richiamo dei venditori ambulanti, il clangore delle pentole sui fuochi, il suono dei primi motorini che sfrecciavano tra le strade. Nell’aria si mescolavano l’odore pungente del pesce essiccato, il dolce dell’ananas fresco e l’aroma familiare del caffè nero.

Tree si alzò prima di Style. Guardò l’amico dormire con una gamba penzoloni fuori dal letto, i capelli arruffati e la bocca leggermente aperta. Sembrava un bambino per un attimo. Era difficile immaginare che quel ragazzo portasse dentro ferite che nessuno aveva mai curato.

Scese in strada per prendere qualcosa da mangiare. Comprò due porzioni di riso con mango, un paio di caffè ghiacciati e tornò alla guesthouse. Quando rientrò nella stanza, trovò Style seduto sul bordo del letto, con una lettera in mano. Non era sua.

«L’ho trovata nello zaino di mia nonna,» disse, senza alzare lo sguardo. «L’ha nascosta anni fa. C’è scritto il nome di mio padre. E un indirizzo. Chiang Rai. Ma non è la città. È un villaggio più a nord. Si chiama Ban Pong Luang.»

Tree si sedette lentamente. «Quindi… esiste davvero.»

«Già.» Style guardava ancora la lettera, come se sperasse che da sola potesse dargli le risposte. «Dice che lui mandava lettere, per un po’. Che chiedeva di me. Ma lei non gliele ha mai fatte leggere. Lo odiava, evidentemente. Ma… forse lui non mi ha davvero abbandonato.»

Per la prima volta, Tree vide Style tremare. Non per il freddo. Non per la stanchezza. Ma per paura. La paura di scoprire che tutto quello che aveva costruito attorno a quel mistero poteva crollare in un istante.

«Allora andiamoci,» disse Tree, con voce calma. «Se è lì, lo scopriremo. Se non lo è, almeno avrai chiuso il cerchio.»

Style annuì piano. «Ban Pong Luang. Due giorni da qui. Se tutto va bene.»

Quel giorno, il viaggio riprese. Lasciarono Phitsanulok con un sole cocente alle spalle, il motorino carico e le strade che si facevano sempre più strette, sempre più verdi. Le risaie lasciarono spazio alle colline, ai fiumi serpeggianti e ai villaggi dove nessuno parlava inglese e i cartelli stradali erano solo in thailandese.

Una sera, si trovarono costretti a fermarsi in una zona remota. Il motore del motorino cominciò a fare strani rumori e alla fine si spense del tutto in una curva, nel bel mezzo della giungla.

«Perfetto,» borbottò Style, colpendo il manubrio. «Motore in panne. Al buio. E senza segnale.»

«Poteva andare peggio,» cercò di dire Tree. «Potremmo avere un serpente nella sella.»

«Non aiutare.»

Camminarono per un po’ sulla strada sterrata, finché non videro una luce lontana. Una piccola casa di legno, sollevata da terra come da tradizione. Un uomo anziano stava seduto sotto il portico, con una radio accesa che gracchiava musica tradizionale.

Li accolse senza fare troppe domande. Offrì loro del tè caldo e un materasso steso sul pavimento. Si chiamava Khun Pradit, ex meccanico in pensione, e quando Style descrisse il rumore del motore, lui si limitò a sorridere e dire: «Domattina sistemiamo tutto.»

Quella notte, Tree e Style dormirono sotto lo stesso tetto di uno sconosciuto, tra canti di grilli, versi di gechi e il battito sordo dei propri pensieri. La stanchezza li travolse, ma il cuore non smise di correre.

Il mattino dopo, mentre il sole illuminava le montagne all’orizzonte, Khun Pradit riparò il motorino con una velocità sorprendente. «Non è la macchina, ragazzi,» disse. «Siete voi che correte troppo in fretta. A volte bisogna fermarsi per ascoltare.»

Quando risalirono in sella, Style si voltò verso Tree. «Sai… forse ho paura che lui sia un bastardo. Ma ho ancora più paura che non lo sia. Perché allora... perché non c’era?»

Tree non rispose. Mise la mano sulla spalla dell’amico. Un gesto semplice, ma che diceva tutto.

E ripartirono.

La strada verso Ban Pong Luang era ancora lunga, ma il vento che soffiava tra gli alberi sembrava volerli guidare. E mentre si allontanavano dalla piccola casa del meccanico, Tree sentì che qualcosa era cambiato. Dentro Style. E dentro di lui.

Forse quel viaggio non era solo per trovare un padre. Ma anche per ritrovare sé stessi.

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