Gooddy
Il sole cominciava appena a filtrare tra le pieghe dei grattacieli di Bangkok, disegnando ombre lunghe sui vicoli stretti e sui tetti in lamiera arrugginita. L’alba si rifletteva lenta sul fiume Chao Phraya, che sembrava respirare al ritmo calmo della città ancora addormentata. Il rumore dell’acqua che lambiva il molo si mescolava al canto dei gabbiani e al borbottio lontano dei battelli in partenza.
Tree sedeva da solo sulla piattaforma di legno vicino al tempio di Wat Arun, le gambe a penzoloni sull’acqua e una bussola antica tra le mani. Era un ragazzo riservato, di poche parole, ma con pensieri che correvano veloci come i treni notturni. I suoi occhi, neri e profondi, sembravano sempre osservare qualcosa che gli altri non vedevano. Aveva diciassette anni, ma sulle spalle portava il peso di una maturità silenziosa, cresciuta tra le responsabilità e i sogni rimandati.
Quella bussola apparteneva a suo nonno, un ex marinaio che gli raccontava storie di terre lontane e mari senza fine. Ogni volta che Tree la guardava, sentiva il richiamo di qualcosa che andava oltre le strade della sua città, oltre le aspettative della madre che lavorava dodici ore al giorno in un ristorante turistico per garantirgli un futuro stabile. Un futuro "sicuro", diceva lei. Ma per Tree, la sicurezza sapeva di prigione.
Poco distante, il ronzio di un motorino interruppe i suoi pensieri. Arrivava come sempre Style, il suo migliore amico. Un vortice di energia e contraddizioni, Style era tutto ciò che Tree non era. Irrequieto, impulsivo, imprevedibile. I capelli colorati di blu scuro gli ricadevano sulla fronte, gli occhi brillavano di una luce indomabile, e il sorriso sfrontato sembrava sfidare il mondo intero.
«Eccoti qui, filosofo del molo!» disse Style, parcheggiando il motorino e avvicinandosi con due bottiglie di tè freddo. «Lo sai che prima o poi diventerai una leggenda urbana. Il ragazzo che guarda il fiume e non dice mai niente.»
Tree accennò un sorriso. «Almeno non mi faccio arrestare ogni due settimane per corse clandestine.»
Style rise, sedendosi accanto a lui. «Dettagli. A proposito, ho pensato a una cosa.»
«Strano.»
«Domani parto. Per il nord. Per Chiang Rai. C’è qualcosa che devo vedere. Forse qualcuno che devo trovare.»
Tree si voltò lentamente, studiando l’espressione dell’amico. Per quanto Style fosse spesso teatrale, c’era una nota seria nella sua voce, come un peso nascosto.
«Da solo?»
«No,» rispose Style, guardandolo fisso negli occhi. «Voglio che vieni con me.»
Il silenzio tra loro si fece più denso, come il caldo umido dell’aria. Tree abbassò lo sguardo sulla bussola, la aprì e vide l’ago tremare per un istante prima di puntare deciso verso nord. Era solo un meccanismo vecchio, ma in quel momento gli sembrò una risposta.
«Non voglio scappare, Style. Non sono fatto per le fughe.»
Style annuì. «Nemmeno io. Ma questa non è una fuga. È una ricerca. Un inizio. E ho bisogno di te.»
Tree chiuse la bussola lentamente. I suoi pensieri correvano veloci: sua madre, la scuola, le aspettative, le paure. Ma tra tutte quelle voci, ce n’era una che parlava più forte delle altre. La voce del ragazzo che, in fondo al cuore, aveva sempre sognato di partire.
Si alzò in piedi e tese la mano all’amico.
«Allora partiamo.»
Style rise e gliela strinse con forza. Poi indicò il fiume. «Da lì inizia tutto. Sempre da lì. L’acqua trova sempre una strada.»
Il sole era ormai alto quando si allontanarono dal molo, uno accanto all’altro, come due linee parallele destinate prima o poi a incrociarsi con il destino. Il viaggio non era ancora cominciato, ma qualcosa dentro di loro era già cambiato.
E Bangkok, alle loro spalle, continuava a svegliarsi, ignara del fatto che due dei suoi figli stavano per abbandonare il sicuro per cercare l’impossibile.
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