Aria

L'aurora nel Regno Celstiale non nasceva mai uguale.

Alcuni giorni era una melodia di luce che danzava sulle colonne d'oro; altri, sembrava un velo triste che tentava di coprire le cicatrici del cielo. Aria osservava tutta da una terrazza di alabastro, dove il vento soffiava tra le piume delle sue grandi ali bianche. Da lassù, il mondo sembrava perfetto. Ma Aria sapeva che non lo era più da molto tempo.

Era figlia dell'Esorcista Supremo, un tempo comandante di mille legioni. Un uomo che aveva servito Dio con fede assoluta, ma ora anziano e che camminava piegato dal peso delle guerre e delle anime perdute. Quando Aria prese il suo posto, il silenzio con cui egli le consegnò la spada fu più eloquente di qualsiasi parola.

Aria per la prima volta prese con le sue mani la spada di suo padre. La spada dove portò equilibrio e libertà.

-Ricorda, figlia mia,- le aveva detto, -una spada di luce può illuminare o distruggere. La differenza la fa il cuore di chi la impugna.-

Aria credeva in quelle parole più di quanto credesse nei decreti del Paradiso.

Ogni volta che si specchiava nella lama lucente della sua arma, vedeva riflesso il volto di una guerriera che non voleva esserlo. Vedeva una giovane donna stanca di pregare per vittorie che odoravano di morte.

Eppure, ogni giorno indossava l'armatura d'argento, ogni giorno comandava il suo esercito con voce ferma, ogni giorno cercava se stessa che tutto ciò servisse a qualcosa.

Durante gli addestramenti, gli altri angeli la osservavano con ammirazione.

-Luce incarnata-, la chiamavano.

Ma dietro gli occhi azzurri di Aria, quasi trasparenti, si nascondeva la paura.

Non della morte (quella non la spaventava) ma di perdere il senso del perché stava combattendo.

Ogni battaglia vinta la faceva sentire più vuota, come se la luce che portava dentro si consumasse lentamente, un frammento alla volta.

Quel mattino, un messo celeste portò nuove notizie: l'Inferno stava radunando le sue forze per un assalto su larga scala. Satana aveva mandato in campo i suoi generali, e tra loro c'era un nome che risuonava tra i rapporti come un'eco sinistra: Damian, figlio del demon Kazar.

Un guerriero noto per la ferocia e per il sorriso ironico che non abbandonava mai, nemmeno mentre uccideva.

Aria chiuse gli occhi. Non conosceva quell' essere, ma un'inquietudine sottile le attraversò il petto, come un presagio.

Prese la spada angelica e la legò alla cintura. La luce della lama si rifletté sulle pareti del santuario, proiettando migliaia raggi dorati. Sembravano scintille di speranza, ma Aria non ne era certa.

-Padre,- mormorò, -se la guerra è il prezzo della pace... allora cos'è la pace?-

Non ebbe risposta. Solo il silenzio del cielo, immobile e distante.

Quando le trombe suonarono la partenza, Aria aprì le ali.

Un battito possente, e la luce si distese sul mondo come un manto.

Nessuno, guardandola volare, avrebbe potuto immaginare che in quella figura perfetta c'era una giovane angelo che desiderava soltanto smettere di combattere.

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