ep.5

Era passata quasi una settimana dall’ultima volta che Daito e Kimura si erano visti. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Nessun segnale.

Daito si era immerso nello studio, o almeno ci aveva provato. Ma ogni volta che apriva un libro, le immagini di quella notte tornavano a fargli visita. Le mani, il respiro, il silenzio carico dopo. E soprattutto, quella sensazione a metà tra desiderio e disagio.

È stato solo sesso, si ripeteva. Era questo l’accordo.

Una sera, mentre tornava dalla mensa con le cuffiette nelle orecchie e lo zaino appeso distrattamente a una spalla, lo vide. Kimura era seduto sul muretto vicino al dormitorio, la testa piegata all’indietro, lo sguardo perso nel cielo che si faceva scuro.

«Non mi aspettavo di trovarti qui» disse Daito, togliendosi una cuffia.

Kimura sollevò gli occhi, sorpreso ma non troppo. «Nemmeno io mi aspettavo di aspettarti.»

Daito non rispose subito. Gli si sedette accanto, lasciando un po’ di spazio tra loro. Il vento portava con sé l’odore degli alberi e l’umidità dell’estate imminente.

«Allora?» domandò Daito, senza guardarlo. «Cos’è, un'altra proposta?»

Kimura scosse la testa. «No. Solo... volevo rivederti.»

Un lungo silenzio calò tra loro. Daito si accorse che la sua mano stava tremando leggermente e la nascose tra le pieghe dei jeans.

«L'altra notte è stata...» iniziò Kimura, ma si interruppe. Cercava le parole. «È stato tutto troppo veloce. Ho parlato senza pensare, ho agito senza capire.»

Daito finalmente lo guardò. «Hai avuto quello che volevi, no? Perché sei ancora qui?»

Kimura si voltò verso di lui. «Perché forse non era solo quello che volevo.»

Le parole rimasero sospese, come foglie nel vento.

Daito abbassò lo sguardo. Dentro di lui qualcosa si muoveva, qualcosa che non voleva ammettere. Perché non riesco a essere arrabbiato davvero con lui?

Kimura gli sfiorò il braccio. «Posso chiederti solo una cosa? Senza impegno, senza promesse.»

Daito alzò un sopracciglio. «Vai.»

«Stasera... puoi restare con me. Solo per parlare. Per capire se tra noi c'è qualcosa che vale la pena salvare.»

Daito rimase in silenzio, poi annuì. «Va bene. Ma niente scorciatoie.»

Kimura sorrise, per la prima volta in modo sincero. «Promesso.»

Si alzarono e, senza toccarsi, camminarono insieme verso il dormitorio. L’aria sembrava diversa, più leggera. Forse era l’inizio di qualcosa. O forse solo una tregua.

Ma per la prima volta, entrambi avevano deciso di rallentare. E ascoltarsi davvero.

Kimura lo guardò negli occhi, sorpreso ma anche colpito dalla franchezza di Daito. Per un attimo rimase immobile, come se volesse essere sicuro di aver capito bene.

«Sei sicuro?» chiese a bassa voce, con un tono più morbido, quasi vulnerabile.

Daito annuì lentamente, lo sguardo fisso su di lui. «Non voglio mezze misure. O adesso, o niente.»

Kimura non disse altro. Si avvicinò di nuovo, ma questa volta con più lentezza, più consapevolezza. Il suo bacio non fu impaziente come prima, ma intenso, carico di tensione trattenuta. Le sue mani ritrovarono il corpo di Daito, come se stesse cercando di memorizzarlo.

La stanza, illuminata solo da una piccola luce sulla scrivania, sembrava sospesa nel tempo. Fuori, il campus taceva, avvolto nel silenzio della sera.

Kimura guidò Daito verso il letto, senza smettere di guardarlo. Non c’erano più parole, solo respiri profondi, mani che cercavano, pelle contro pelle. Quando lo toccava, lo faceva con rispetto ma senza esitazioni — come chi conosce il corpo dell’altro, ma ha deciso di ricominciare da capo, imparando ogni volta da zero.

Daito si lasciò andare, affidandosi a quel momento. Non voleva pensare a ciò che significava, a cosa sarebbe successo domani. Per una volta, voleva solo sentire.

Quando infine si unì a lui, fu come se ogni incertezza si fosse sciolta. Nessuno dei due parlò, ma tutto fu detto in quegli sguardi, in quei movimenti lenti e profondi. Era un patto non dichiarato, un confine tracciato con la carne.

E quando, più tardi, Daito rimase sdraiato con il respiro ancora affannato e Kimura accanto a lui, nessuno disse una parola. Non ce n’era bisogno.

Ma dentro Daito, una voce sottile — quella che cercava di proteggerlo — sussurrava: non confondere il piacere con l’amore.

Fammi sapere se vuoi che la storia continui con toni più drammatici, romantici o leggeri, oppure se desideri esplorare i pensieri dei personaggi dopo l'accaduto.

Daito si era immerso nello studio, o almeno ci aveva provato. Ma ogni volta che apriva un libro, le immagini di quella notte tornavano a fargli visita. Le mani, il respiro, il silenzio carico dopo. E soprattutto, quella sensazione a metà tra desiderio e disagio.

È stato solo sesso, si ripeteva. Era questo l’accordo.

Una sera, mentre tornava dalla mensa con le cuffiette nelle orecchie e lo zaino appeso distrattamente a una spalla, lo vide. Kimura era seduto sul muretto vicino al dormitorio, la testa piegata all’indietro, lo sguardo perso nel cielo che si faceva scuro.

«Non mi aspettavo di trovarti qui» disse Daito, togliendosi una cuffia.

Kimura sollevò gli occhi, sorpreso ma non troppo. «Nemmeno io mi aspettavo di aspettarti.»

Daito non rispose subito. Gli si sedette accanto, lasciando un po’ di spazio tra loro. Il vento portava con sé l’odore degli alberi e l’umidità dell’estate imminente.

«Allora?» domandò Daito, senza guardarlo. «Cos’è, un'altra proposta?»

Kimura scosse la testa. «No. Solo... volevo rivederti.»

Un lungo silenzio calò tra loro. Daito si accorse che la sua mano stava tremando leggermente e la nascose tra le pieghe dei jeans.

«L'altra notte è stata...» iniziò Kimura, ma si interruppe. Cercava le parole. «È stato tutto troppo veloce. Ho parlato senza pensare, ho agito senza capire.»

Daito finalmente lo guardò. «Hai avuto quello che volevi, no? Perché sei ancora qui?»

Kimura si voltò verso di lui. «Perché forse non era solo quello che volevo.»

Le parole rimasero sospese, come foglie nel vento.

Daito abbassò lo sguardo. Dentro di lui qualcosa si muoveva, qualcosa che non voleva ammettere. Perché non riesco a essere arrabbiato davvero con lui?

Kimura gli sfiorò il braccio. «Posso chiederti solo una cosa? Senza impegno, senza promesse.»

Daito alzò un sopracciglio. «Vai.»

«Stasera... puoi restare con me. Solo per parlare. Per capire se tra noi c'è qualcosa che vale la pena salvare.»

Daito rimase in silenzio, poi annuì. «Va bene. Ma niente scorciatoie.»

Kimura sorrise, per la prima volta in modo sincero. «Promesso.»

Si alzarono e, senza toccarsi, camminarono insieme verso il dormitorio. L’aria sembrava diversa, più leggera. Forse era l’inizio di qualcosa. O forse solo una tregua.

Ma per la prima volta, entrambi avevano deciso di rallentare. E ascoltarsi davvero.

Entrarono nella stanza di Kimura in silenzio. L’ambiente era ordinato, quasi troppo. Come se volesse nascondere il caos che aveva dentro. Daito si sedette sul letto, guardando la libreria colma, i poster appesi in modo perfetto. Tutto sembrava studiato.

Kimura si avvicinò con due lattine di tè freddo. Gliene porse una. «So che ti piace quello al limone.»

Daito lo guardò sorpreso. «Te lo ricordi?»

«Mi ricordo più di quanto tu pensi» disse Kimura con un sorriso incerto.

Si sedettero vicini, senza sfiorarsi. Per minuti non parlarono, eppure il silenzio non pesava. Sembrava necessario. Poi, quasi sottovoce, Daito sussurrò:

«Se vogliamo ricominciare, dobbiamo essere onesti. Niente giochi. Niente promesse a metà.»

Kimura annuì, serio. «Lo voglio anch’io.»

E per la prima volta, invece di desiderarsi con il corpo, si cercarono con le parole.

Fu lì, in quella notte calma, che tra loro iniziò davvero qualcosa. Non un amore. Non ancora. Ma qualcosa che aveva il potenziale per diventarlo.

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