Ep.4

Settimane erano passate da quell'incontro tumultuoso con lo sconosciuto di cui non conoscevo nemmeno il nome. Ringraziavo Dio di non essermi imbattuta di nuovo in lui. La vita andava avanti, ma un'inquietudine persistente si era impossessata di me. Iniziai a notare dei cambiamenti nel mio corpo che non potevo ignorare: un ritardo del ciclo, una stanchezza opprimente e delle leggere nausee mattutine. Anche il mio seno era più gonfio del solito.

Una mattina, mentre mi preparavo per andare al lavoro, sentii un'ondata di nausea più forte del solito. Il panico mi colpì come un fulmine.

"No... Non è possibile." Mormorai tra me e me, reggendomi al lavandino per non perdere l'equilibrio.

Decisi che era il momento di affrontare la verità. Comprai un test di gravidanza mentre andavo al lavoro e, durante una pausa, andai in bagno ad usarlo. Quei minuti di attesa sembrarono un'eternità, ogni secondo che passava aumentava la mia paura e la mia ansia.

Quando finalmente guardai il test, il mio cuore quasi si fermò. Due linee rosa. Positivo.

Mi sedetti sul coperchio del water, cercando di elaborare la valanga di emozioni che mi travolgeva. Paura, panico e, inaspettatamente, una fitta di gioia. La mia mente correva veloce, cercando di capire cosa questo significasse per me e come affrontare la situazione.

Pur con tutti questi sintomi, continuavo a lavorare. Hanna, una collega, aveva notato come fossi pallida in questi giorni.

"Stai bene? Ti vedo così stanca e pallida ultimamente." Mi chiese, con la preoccupazione evidente sul viso.

"Sì, sì. Sono solo un po' stressata, niente di che." Inventai una scusa per evitare di scendere nei dettagli. "Penso sia solo un po' di raffreddore."

Non sembrò del tutto convinta, ma decise di non indagare oltre. La verità era che stavo ancora cercando di elaborare la notizia. Trascorrevo le mie giornate in modalità automatica, cercando di mantenere la calma e di portare avanti il mio lavoro, mentre la mia mente era in subbuglio.

Ogni giorno era una lotta per nascondere la mia condizione. Tra le nausee mattutine e la stanchezza opprimente, mantenere un'apparenza di normalità stava diventando sempre più difficile. Eppure, sapevo di aver bisogno di tempo per pensare a cosa fare, a come affrontare la gravidanza.

Il mio turno iniziava con la pulizia delle camere al terzo piano. Trascinando il pesante carrello delle pulizie, sentivo la stanchezza farsi largo più velocemente del solito. Ogni movimento sembrava richiedere uno sforzo erculeo. L'odore dei prodotti per la pulizia, che normalmente sopportavo bene, ora mi dava ancora più nausea.

Eppure, continuavo il mio lavoro. Pulivo i bagni, cambiavo gli asciugamani, passavo l'aspirapolvere sui tappeti. Ogni mansione sembrava non finire mai e il tempo si trascinava stancamente.

A metà mattinata, un'ondata di nausea mi colse alla sprovvista. Corsi al bagno più vicino, cercando di non dare nell'occhio.

Dopo aver vomitato, mi appoggiai al lavandino, cercando di riprendere fiato. La debolezza alle gambe era evidente e la paura di svenire nel bel mezzo del corridoio mi innervosiva ancora di più. Mi lavai il viso con acqua fredda, cercando di riprendermi. Tornai al lavoro, ma ogni stanza sembrava più difficile della precedente. La stanchezza si stava impossessando di me e dovevo fare delle pause frequenti per recuperare le forze. Sentivo una pressione costante alla testa e i capogiri andavano e venivano.

All'ora di pranzo, riuscii a malapena a mangiare. L'odore del cibo mi faceva ribollire lo stomaco e toccai appena il mio piatto. Hanna, seduta di fronte a me, mi osservava con crescente preoccupazione.

"Devi farti vedere da un dottore. Non puoi andare avanti così." Insistette.

"Lo farò. Devo solo superare questa settimana." Mentii, sapendo di star rimandando l'inevitabile.

Il pomeriggio trascorse in una confusione di mansioni e sforzi. Ad ogni stanza pulita, sentivo il mio corpo più debole. Quando il mio turno finalmente finì, provai un misto di sollievo e di terrore per il giorno dopo. Raccolsi le mie cose e tornai a casa, desiderosa di un letto dove potermi riposare.

Arrivata a casa, riuscii a malapena a togliermi le scarpe prima di crollare sul divano. La gravidanza stava diventando un peso sempre più gravoso e sapevo che non avrei potuto continuare a fingere ancora a lungo.

Mi svegliai sul divano ore dopo, il corpo ancora pesante e la mente preoccupata. La notizia della gravidanza mi stava divorando e sapevo di dover prendere una decisione. Ma la paura e l'incertezza mi paralizzavano.

La mattina dopo, la nausea tornò in tutta la sua forza. Stava diventando sempre più difficile nascondere la mia condizione, soprattutto ad Hanna. Appena arrivata al lavoro, mi prese da parte con un'espressione seria.

"Non puoi andare avanti così. Sono preoccupata per te." La sua voce era ferma, ma piena di sincera preoccupazione. "Mi stai nascondendo qualcosa? Non ti fidi più di me?"

Sospirai, rendendomi conto che non potevo più tenere il segreto. Avevo bisogno di confidare in qualcuno e Hanna era sempre stata una buona amica.

"Hanna, devo dirti una cosa..." Iniziai, sentendo un nodo alla gola. "Sono incinta."

I suoi occhi si spalancarono sorpresi, ma subito si addolcirono in un'espressione di comprensione.

"Mio Dio... Perché non me l'hai detto prima?" Mi strinse in un abbraccio confortante. "Dobbiamo prenderci cura di te."

"Avevo paura... Non sapevo come affrontare la situazione." La mia voce tremò e le lacrime iniziarono a scendermi sul viso.

Hanna mi strinse più forte, offrendomi il conforto di cui avevo disperatamente bisogno.

"Andrà tutto bene. Supereremo tutto questo insieme." Disse.

Il resto della giornata trascorse in un turbine di supporto e confidenze. Hanna mi aiutò con le mansioni più pesanti, insistendo che mi riposassi di più. Per la prima volta dopo settimane, provai un po' di sollievo.

Ma il sollievo fu di breve durata. Alla fine del turno, il direttore dell'hotel mi chiamò per parlare.

"Ho saputo che non ti senti bene." Esordì, con un tono di voce pieno di professionale preoccupazione. "Se hai bisogno di un periodo di pausa, possiamo organizzare un congedo per malattia."

Sentii il panico crescere di nuovo. Avevo bisogno di quel lavoro, ma sapevo di non poter continuare con gli stessi ritmi.

"Apprezzo la preoccupazione, ma sto bene. Ho solo bisogno di qualche giorno per riprendermi." Cercai di sembrare convincente, ma sapevo che era una battaglia persa in partenza.

"Provvederemo al congedo." Disse con fermezza, non lasciandomi scelta.

Uscii dal suo ufficio con un misto di sollievo e di ansia. Il congedo significava avere del tempo per riposare, ma significava anche dover affrontare la realtà della gravidanza. Tempo che non ho perché presto la mia pancia crescerà.

I giorni a casa furono difficili. La solitudine mi lasciava troppo tempo per pensare e i sintomi della gravidanza erano implacabili. Trascorrevo le mie mattine a gestire la nausea e i pomeriggi cercando di riposare, ma la paura costante per il futuro mi impediva di rilassarmi.

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