Prima che le fiamme del rancore bruciassero i cieli, esisteva un mondo diviso, ma in armonia.
Il Paradiso e l'Inferno non erano nemici, ma parti opposte di un unico respiro: la luce e l'ombra che tenevano in equilibrio la creazione. Le creature celesti sorvegliavano la purezza dell'anima, mentre quelle infernali costudivano la verità più oscura dei desideri. Entrambi servivano un ordine più grande di loro, e per un tempo che nessuno sa misurare, vissero in pace.
Nel Cielo, il bagliore dorato di Dio illuminava ogni cosa. Era un Dio distante, ma non crudele. Le sue parole erano legge, i suoi silenzi più pesanti dell'eternità. Gli angeli vivevano tra templi di luce sospesi tra le nuvole, dove il vento cantava inni e le spade riposavano, lucenti ma inutilizzate. Tra loro, una giovane nata da sangue sacro imparava l'arte della guerra: Aria, figlia dell'Esorcista Supremo, un uomo rispettato da ogni ordine celeste.
Fin da piccola, lei osservava il mondo con curiosità e compassione. Amava volare sopra le colonne di luce, dove il vento profumato di purezza, e sognava che nessuno dovesse mai più impugnare un'arma.
Sotto, nelle viscere dell'Inferno, regnava Satana. Non un mostro senza pensiero, ma un sovrano astuto e orgoglioso. Il suo regno era una cattedrale di ombre e fuoco, dove ogni scintilla aveva un'anima e ogni anima un prezzo. Tra le legioni infernali cresceva Damian, figlio di un potente generale demoniaco. Forte, impulsivo, ironico, parlava poco ma rideva spesso; un riso tagliente, per non mostrare la noia e il vuoto che sentiva.
-La gloria è solo un nome per la catena che ci tiene legati,- diceva al fratello maggiore, -ma almeno bruciata bene.-
Fu quando il potere degli angeli crebbe oltre misura che l'equilibrio si spezzò. Il Paradiso iniziò ad allungare la sua influenza, espandendo la sua luce fino a lambire i confini infernali. Gli angeli reclamavano che fosse volontà divina; i demoni la chiamavano invasione. Le prime scintille diventarono incendi, e presto la pace divenne un ricordo sbiadito.
Le trombe celesti suonarono il richiamo alla guerra. Le legioni di luce scesero dal cielo come una pioggia dorata; quelle infernali risposero come una tempesta di fiamme. La creazione intera tremò. Il fuoco divorò le nuvole. Le lame cantarono preghiere e bestemmie nello stesso respiro. Il mondo, un tempo culla di armonia, divenne un campo di battaglia eterno.
Nel caos, due destini cominciarono a muoversi l'uno verso l'altro: la purezza di Aria e il disincanto di Damian. Nessuno dei due sapeva che, tra le ceneri del Paradiso e le ombre dell'Inferno, sarebbero diventati l'unico miracolo possibile in un universo che aveva dimenticato l'amore.
E così ebbe iniziò la Guerra Celeste.
Non per conquista. Non per fede.
Ma per paura che la luce o l'oscurità potessero esistere da sole.
L'aurora nel Regno Celstiale non nasceva mai uguale.
Alcuni giorni era una melodia di luce che danzava sulle colonne d'oro; altri, sembrava un velo triste che tentava di coprire le cicatrici del cielo. Aria osservava tutta da una terrazza di alabastro, dove il vento soffiava tra le piume delle sue grandi ali bianche. Da lassù, il mondo sembrava perfetto. Ma Aria sapeva che non lo era più da molto tempo.
Era figlia dell'Esorcista Supremo, un tempo comandante di mille legioni. Un uomo che aveva servito Dio con fede assoluta, ma ora anziano e che camminava piegato dal peso delle guerre e delle anime perdute. Quando Aria prese il suo posto, il silenzio con cui egli le consegnò la spada fu più eloquente di qualsiasi parola.
Aria per la prima volta prese con le sue mani la spada di suo padre. La spada dove portò equilibrio e libertà.
-Ricorda, figlia mia,- le aveva detto, -una spada di luce può illuminare o distruggere. La differenza la fa il cuore di chi la impugna.-
Aria credeva in quelle parole più di quanto credesse nei decreti del Paradiso.
Ogni volta che si specchiava nella lama lucente della sua arma, vedeva riflesso il volto di una guerriera che non voleva esserlo. Vedeva una giovane donna stanca di pregare per vittorie che odoravano di morte.
Eppure, ogni giorno indossava l'armatura d'argento, ogni giorno comandava il suo esercito con voce ferma, ogni giorno cercava se stessa che tutto ciò servisse a qualcosa.
Durante gli addestramenti, gli altri angeli la osservavano con ammirazione.
-Luce incarnata-, la chiamavano.
Ma dietro gli occhi azzurri di Aria, quasi trasparenti, si nascondeva la paura.
Non della morte (quella non la spaventava) ma di perdere il senso del perché stava combattendo.
Ogni battaglia vinta la faceva sentire più vuota, come se la luce che portava dentro si consumasse lentamente, un frammento alla volta.
Quel mattino, un messo celeste portò nuove notizie: l'Inferno stava radunando le sue forze per un assalto su larga scala. Satana aveva mandato in campo i suoi generali, e tra loro c'era un nome che risuonava tra i rapporti come un'eco sinistra: Damian, figlio del demon Kazar.
Un guerriero noto per la ferocia e per il sorriso ironico che non abbandonava mai, nemmeno mentre uccideva.
Aria chiuse gli occhi. Non conosceva quell' essere, ma un'inquietudine sottile le attraversò il petto, come un presagio.
Prese la spada angelica e la legò alla cintura. La luce della lama si rifletté sulle pareti del santuario, proiettando migliaia raggi dorati. Sembravano scintille di speranza, ma Aria non ne era certa.
-Padre,- mormorò, -se la guerra è il prezzo della pace... allora cos'è la pace?-
Non ebbe risposta. Solo il silenzio del cielo, immobile e distante.
Quando le trombe suonarono la partenza, Aria aprì le ali.
Un battito possente, e la luce si distese sul mondo come un manto.
Nessuno, guardandola volare, avrebbe potuto immaginare che in quella figura perfetta c'era una giovane angelo che desiderava soltanto smettere di combattere.
Nell'Inferno, il concetto di mattina non esisteva.
Il tempo era un vortice di fiamme e ombre, eppure Damian sapeva sempre quando "cominciava il giorno": era l'istante in cui le urla dei dannati si facevano un po' più rumorose del solito.
Si stiracchiò sulle rocce incandescenti che fungeva dal letto, con la calma di chi aveva dormito su spine per tutta la vita. -Ah, un altro giorno in Paradiso-, borbottò, ridendo della propria ironia.
Figlio del generale Kazar, Damian era cresciuto in mezzo al clangore delle armi e all'odore di zolfo.
Suo padre era una leggenda tra i demoni: spietato, ambizioso, convinto che la violenza fosse l'unico linguaggio degno di essere parlato.
Damian, invece, parlava di continuo (ma solo per dire ciò che non doveva).
-Siamo nati per distruggere la luce-, gli dicevano.
-Sì, sì,- rispondeva lui, -ma almeno possiamo farlo con stile.-
Il suo sarcasmo non lo rendeva popolare tra i superiori, ma gli aveva guadagnato il rispetto dei soldati semplici. Era forte, veloce e coraggioso, ma soprattutto... imprevedibile.
Nessuno sapeva mai se avrebbe riso o colpito, se avrebbe ucciso o risparmiato.
Dietro quel sorriso rosso come il fuoco, si nascondeva qualcosa che nemmeno lui riusciva a definire. Una curiosità. Una fame diversa.
Durante le esercitazioni, brandiva la sua ascia demoniaca come se danzasse. Ogni colpo era un lampo scuro, un tuono di potenza. La sua armatura era molto corazzata ma elegante, di un oro e argento molto pregiati.
Gli altri lo ammiravano e lo temevano, ma Damian si annoiava facilmente. Non era molto interessato alla guerra e bandire un'arma.
-Sempre le stesse fiamme, sempre gli stessi urli. Almeno al Paradiso cambiano il colore delle nuvole- scherzava.
Qualcuno rise. Qualcun altro lo denunciò al suo comandante.
Kazar lo convocò, furioso. -Il tuo compito non è pensare, ma combattere e agire!-
Damian lo fissò con il suo sguardo rosso e impassibile.
-Forse è per questo che non vinciamo mai, padre.-
La punizione arrivò presto: essere mandato al fronte, tra le prime linee contro le armate celesti.
Una missione suicida, o almeno così la chiamavano.
A lui, però, l'idea non dispiaceva. -Meglio morire di noia o di gloria? Io voto per entrambe. Scommetto che solo pochi di noi sopravvivranno. -
Quando si presentò davanti alle legioni, il terreno vivrò sotto le sue ali nere. Le fiamme gli lambirono le spalle, riflettendo sulle punte della sua ascia.
Il cielo sopra di lui non era più blu: una distesa di nuvole dorate copriva l'orizzonte, come se la luce stesse cercando di invadere anche il buio.
Damian la guardò e rise piano. -Eccoti lì, cara nemica... vediamo se sei davvero così pura come dicono.-
Non sapeva che, da qualche parte tra quelle nuvole, un paio d'occhi azzurri lo stavano cercando.
Non per ucciderlo (non ancora) ma per capire perché un demone potesse ridere in mezzo alla guerra.
E così, mentre il mondo bruciava, la storia di Damian iniziò con un sorriso.
Una di quelli che nascondono più dolore che ironia.
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