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Dalla Mia Finestra

Dalla mia finestra

TUTTO e cominciato con la password del Wi-Fi. Si, sembra una cosa banale e di poco conto, eppure non è così. Al giorno d’oggi, la password del Wi-Fi vale molto di più di qualsiasi altra cosa in tuo possesso. Internet crea già abbastanza dipendenza di suo, aggiungi una connessione senza fili ed ecco una specie di droga a tua perenne disposizione, direttamente dentro casa. Conosco persone che pur di non allontanarsi dalla loro preziosissima connessione Wi-Fi rinunciano addirittura a uscire. A proposito dell’importanza del Wi-Fi, voglio raccontarvi una storia che riguarda i miei vicini, gli Hidalgo, quelli che abitano dietro casa nostra. Nonostante mia madre sia emigrata negli Stati Uniti dal Messico quando era incinta di me e abbia affrontato una lunga serie di difficoltà sin da quando si è stabilita in questo paesino del South Carolina, non ha mai avuto problemi a socializzare con i vicini, a eccezione degli Hidalgo. Perché? Bé, sono persone benestanti, chiuse e abbastanza insopportabili. Ci saremo salutati tre volte a dir molto. Ci sono doña sofía, suo marito Juan e i loro tre figli, artemis, ares e apolo. I genitori sono fissati con la mitologia greca. Non riesco nemmeno a immaginare quanto se la passino male a scuola: non devo essere l’unica ad aver notato che hanno dei nomi piuttosto strani. Ebbene, voi vi chiederete come faccio a sapere tutte queste cose se non ci siamo mai rivolti la parola… Bé, la ragione ha un nome e un cognome: Ares Hidalgo. Pioggia di cuori e coro di sospiri immaginari. Nonostante ares non frequenti la mia scuola, ma una privata è molto più prestigiosa, mi sono organizzata per riuscire a vederlo; diciamo che ho un’insana ossessione per lui. Mi sono presa una cotta la prima volta che l’ho visto giocare a calcio nel cortile di casa sua, quando avevo appena otto anni, e ovviamente con il tempo mi è un po’ passata, visto che non ci siamo mai scambiati nemmeno una parola, né tantomeno un semplice sguardo. Credo che non abbia mai notato la mia presenza, anche perché non lo stolkero poi così tanto, non c’è motivo di allarmarsi. Ormai però gli sporadici contatti con i miei vicini stanno per modificarsi, dal momento che a quanto pare il Wi-Fi non solo è fondamentale, ma ha anche la capacità di mettere in comunicazione mondi del tutto diversi. Nella mia stanzetta gli imagine Dragons suonano a tutto volume mentre canto e finisco di togliermi le scarpe. Sono appena rientrata dal mio lavoretto estivo e mi sento esausta; una ragazza di diciott’anni dovrebbe essere piena di energie, ma nel mio caso non è così. Almeno secondo mia madre, che ha molta più energia di me, e in effetti ha ragione. Mi stiracchio le braccia, sbadigliando. Accanto a me, il mio lupo cecoslovacco, Rocky, mi imita. Dicono che i cani assomigliano ai loro padroni; bé, Rocky sono io in versione canina, a volte fa persino i miei stessi gesti, lo giuro. I miei occhi vagano per la stanza e si posano sui poster con le frasi motivazionali appesi alle pareti: sogno di laurearmi in psicologia e poter aiutare le persone. Spero che mi diano una borsa di studio per frequentare l’università. Mi dirigo alla finestra, per contemplare il tramonto. E il mio momento preferito della giornata: adoro osservare in silenzio il sole che sparisce all’orizzonte e cede il posto alla bellissima luna. Sembra quasi che quei due seguano una specie di rituale segreto, che rispettino un patto che stabilisce che non si incontrino mai, ma che continuino a condividere il maestoso cielo. La mia stanza è al secondo piano, quindi ho una vista meravigliosa. In realtà, però, quando apro le tende, non è esattamente il tramonto a lasciarmi a bocca aperta, bensì la persona seduta nel cortile dei vicini: apolo hidalgo. È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto uno di loro in cortile e non posso certo fargliene una colpa, casa loro è a pochi metri dal muro di recinzione che la separa dalla nostra. Apolo è il più piccolo dei tre, ha quindici anni, e da quel che ho sentito sembra un bravo ragazzo, cosa che non potrei dire dei suoi fratelli maggiori. Senza dubbio in famiglia non manca il gene della bellezza: tutti e tre sono molto attraenti e anche il padre è un bell’uomo. Apolo ha i capelli castano chiaro, un viso affilato che trasuda innocenza e gli occhi del colore del miele, come il papà. Appoggio i gomiti sul davanzale e lo osservo. Ha un laptop in grembo e sembra che stia scrivendo qualcosa in fretta e furia. “Che fine hanno fatto le buone maniere, Raquel?” La voce di mia madre fa capolino nel mio cervello, rimproverandomi. Dovrei salutarlo? “ certo un giorno diventerà tuo cognato”. Mi schiarisco la gola e mi appresto a rivolgergli il mio miglior sorriso. *Buon pomeriggio vicino!* grido, agitando la mano. Apolo alza lo sguardo e sul suo volto minuto si disegna un’espressione sorpresa. *Oh!* si alza di scatto e il computer gli cade maldestramente a terra. *maledizione!* impreca, raccogliendolo e affrettandosi a controllare che sia tutto a posto. *funziona?* chiedo, riferendomi al laptop, che pare piuttosto costoso. Apolo si lascia sfuggire un sospiro di sollievo. *si.*

*sono raquel, la tua vi…*

mi rivolge un sorriso adorabile.

*lo so chi sei siamo vicini da tutta la vita.*

certo che sa chi sono.Che cretina che sei, Raquel!

*chiaro* mormoro, piena di vergogna.

*devo andare.* prende la sedia.

*senti, grazie per averci dato la password del vostro Wi-Fi. Resteremo disconnessi per qualche giorno visto che ci devono installare una nuova rete. È molto gentile da parte tua prestarci la connessione.*

Rimango di sasso.

*prestarci la connessione? Che intendi dire?*

*che ci stai prestando il tuo wifi, per questo sono qui in cortile, in casa non prende.*

*che cosa? Non vi ho mai dato la password…*

sono così confusa che quasi non riesco a parlare. Apolo corruga la fronte.

*ares mi ha detto che ci avevi dato la password.*

al sentire quel nome, il cuore mi fa un balzo nel petto.

*a dire il vero non ci siamo mai rivolti la parola.*

mi sarei ricordata ogni dettaglio, se fosse accaduto. Apolo sembra cadere dalle nuvole e arrossisce.

*mi dispiace, Ares mi aveva detto che gli avevi dato la password, per questo sono qui. Scusami tanto.*

scuoto il capo

*tranquillo, non è colpa tua.*

*ma se tu non gli hai dato la password, allora come fa ad avercela? Ero connesso fino a un secondo fa.*

mi gratto la testa.

*non saprei.*

*Bé, non succederà più, scusami ancora.*

sparisce a capo chino tra gli alberi del cortile. Mi soffermo a riflettere, osservando il punto in cui era seduto Apolo fino a un attimo prima. Che storia è questa? Come fa Ares ad avere la password del mio wifi? La faccenda si sta trasformando in una specie di poliziesco dal titolo “il mistero della password del wifi.” Scuoto la testa, che stupidaggine. Chiudo la finestra e mi appoggio al vetro. La mia password è piuttosto imbarazzante e Apolo la conosce. Che vergogna! Come ha fatto Ares a scoprirla? Non ne ho idea. Non solo è il più bello dei tre fratelli, ma anche il più chiuso e introverso.

*Raquel! La cena è pronta!*

*Arrivo, mamma!*

il caso non è risolto: devo scoprire come ha fatto Ares a entrare in possesso della mia password, e sarà un’indagine in pieno stile CSI; chissà, magari potrei comprarmi anche degli occhiali scuri, per assomigliare di più a un investigatore privato.

*Raquel!*

*Eccomi!*

”operazione password, attivata.”

Dalla mia finestra

ODIO essere disturbata mentre dormo, è una delle poche cose che proprio non sopporto. Di solito sono una persona tranquilla e pacifica,ma, se vengo svegliata, esce fuori il mio lato peggiore. E quindi, quando a destarmi è una melodia sconosciuta, non posso evitare di grugnire, infastidita. Mi giro nel letto, coprendomi la testa con il cuscino, ma il danno è fatto e non riesco più a riprendere sonno. Irritata, lancio il cuscino da una parte e mi metto seduta, imprecando. Da dove diavolo viene questo rumore? Gemo, furiosa: è mezzanotte. Chi è che fa un tale baccano a quest’ora e in mezzo alla settimana, per giunta. Mi dirigo come uno zombie verso la finestra e la brezza fresca che filtra dalle tende mi dà i brividi. Sono abituata a dormire con la finestra aperta, perché prima d’ora non avevo mai avuto problemi con i rumori notturni, ma a quanto pare le cose sono cambiate. Riconosco la canzone: “Rayando el sol, dei maná.” Grattandomi la testa, scosto le tende per capire da dove proviene e rimango paralizzata nel constatare che c’è qualcuno seduto nel cortile degli Hidalgo. Questa volta però non è apolo. Non appena mi rendo conto che è proprio Ares, il cuore mi sussulta nel petto.

Per descriverlo mi mancano sia il fiato sia le parole. E il ragazzo più bello che abbia mai visto, e non credo di averne visti pochi. È alto, atletico, ha le gambe muscolose e un culo da morirci dietro.

Ha un profilo greco, con gli zigomi sporgenti e il naso affilato. Le labbra sono carnose e sembrano sempre umide. Quello superiore forma una specie di arco, come un cuore,e su quello inferiore porta un piercing quasi invisibile. I suoi occhi mi tolgono il respiro ogni volta che lo vedo, sono di un azzurro intenso con qualche pagliuzza di un verde impressionante. Ha i capelli nero corvino, in netto contrasto con la pelle bianca e lattea, che gli ricordano con noncuranza sulla fronte e sulle orecchie. Sul braccio sinistro ha tatuato un drago tutto ricurvo, che dev’essere stato realizzato da un vero professionista. Tutto in lui grida mistero e pericolo, e dovrebbe spingermi a stargli alla larga, invece ne sono attratta con una forza che mi impedisce di respirare. Porta dei pantaloncini, le converse e una maglietta nera in pendant con i capelli. Lo osservo intontita mentre digita qualcosa sulla tastiera del suo laptop, mordicchiandosi il labbro inferiore. Quanto è sexy! Però a quel punto succede l’impensabile. Ares alza lo sguardo e mi vede. Quei bellissimi occhi azzurri incontrano i miei e il mondo si ferma. Non ci siamo mai scambiati un’occhiata così diretta. Senza volerlo, sorrido subito, ma non riesco a distogliere lo sguardo. Ares inarca un sopracciglio, gli occhi freddi come il ghiaccio. * ti serve qualcosa?* dalla sua voce non traspare la minima emozione. Deglutisco, per ritrovare la mia. Il suo sguardo mi paralizza. Com’è possibile che un ragazzo della sua età abbia un aspetto tanto minaccioso?

*io… ciao,* quasi balbetto. Lui non dice nulla, si limita a restare a guardarmi e questo non fa altro che innervosirmi ulteriormente. *Io… la tua musica mi ha svegliato.* Sto parlando con Ares. Oddio, non svenire, Raquel. Respira. *hai il sonno leggero, la tua stanza è abbastanza lontana.*

tutto qui? Non si scusa per avermi svegliata?

ritorna a guardare lo schermo e continua a digitare. Io faccio una smorfia stizzita. Passano i minuti e, dal momento che nota che non mi sono mossa, Ares torna a fissarmi, inarcando un sopracciglio. *ti serve qualcosa?* ripete con aria infastidita, e io raccolgo il coraggio per rispondergli. * Si, in effetti, volevo parlarti.* lui con un gesto mi incoraggia a proseguire.

*stai usando il mio wifi?*

*Si.* una risposta secca.

*senza il mio permesso?*

*Si.* santo cielo, la sua sfacciataggine è esasperante.

*non dovresti.*

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